Presentazione e preliminari:
Il giorno 19 appuntamento di primissima mattina (intorno alle 5) sotto la sede di Lido di Camaiore della Cecchini Viaggi. Ci aspetta un pulmino che ci accompagnerà all’aeroporto di Firenze. Siamo in otto. Ma dove sono gli altri cinque? Sapevamo infatti che il numero dei partecipanti era di 13 persone.
L’arrivo di Serena (la ns. accompagnatrice) svela il mistero: troveremo gli altri direttamente all’aeroporto di Firenze. Partiamo. Siamo tutte donne sul pulmino ad eccezione dell’autista. Ovviamente parliamo.
Intera giornata in viaggio: Firenze/Zurigo – Zurigo/Delhi.
L’intera compagnia si rivelerà splendida. Li presento? Certo!
Serena, ns accompagnatrice è la titolare dell’agenzia di viaggi. Giovane, molto carina, capelli lunghi. Sorriso cordiale;
Alessandra, parrucchiera in Camaiore, bionda, occhi azzurri, caschetto curato (ovviamente!), comunicativa sorridente;
Anna Maria e Marina – mamma e figlia di Forte dei Marmi. A loro volta figlia e nipote dell’adorabile Dorilla. (persona che ho conosciuto in alcuni miei precedenti viaggi, viaggiatrice instancabile. Allegra, curiosa, Gioia di vivere allo stato puro. Mascotte, sempre, di qualsiasi compagnia. Mi dicono che, purtroppo, è volata via proprio pochi giorni fa). Gestiscono negozio di accessori di abbigliamento e allestiscono banco nei mercati della Versilia. Anna Maria alta, distinta, affabile. Capelli corti, curati. Persona che infonde serenità. Marina alta, sottile, gran massa di capelli ricci, lunghi. Macchina fotografica sempre in funzione, pronta a cogliere qualsiasi dettaglio che colpisca la sua fantasia. Non so perché ma si instaura tra loro e me una complicità particolare. Uno sguardo, una battuta e giù a ridere. Bello!
Cinzia, Alberto e Rachele. Coniugi con figlia universitaria. Signori di Lajatico. Lajatico? Una marcata somiglianza ….ma sì! Lui fratello del ns vanto italiano nel mondo! Il tenore Andrea Bocelli. E’ architetto. Arguto. Brillante. Il telefonino pare una parte delle mano. Cinzia è alta, bionda, capelli ricci. Bei lineamenti. Bel sorriso. A me dà l’idea di un’ indossatrice perché ha un bel portamento, abbinato a un fisico ben proporzionato. Rachele si rivela un tesoro. Bella ragazza. Alta, bruna, capelli lunghi. Sorriso comunicativo. Macchina fotografica in funzione costantemente. Disponibile. Partecipativa.
Stefano ed Elisabetta, pure loro di Lajatico. Lui “coccola” api che producono un miele speciale: quello di “sulla”. E’ simpaticissimo. Battuta pronta, allegro. Di gran compagnia. Lei è medico di famiglia, alta, bruna con capelli mossi. Molto carina. Ha il dono di saper raccontare. Cattura subito la tua attenzione. Ci porta volentieri a conoscenza di esperienze di viaggi precedenti.
Morena e Claudia di Viareggio. Mamma e figlia. Morena sembra una donna che dispone di grande energia. Attiva. Infaticabile. Non troppo alta, ha capelli biondi. Un taglio particolare, asimmetrico, che le dona assai. Claudia è una forza della natura. Lavora presso l’Asl di Monza nel settore legale. Interessata ad ogni cosa. Vitale, preparata. Capace. Autonoma e volitiva.
Katia. Di Stiava. Amica da anni. Molto bella sotto ogni profilo. Fisicamente si vede: sottile, alta, bruna, bei lineamenti, fini. Occhi azzurro mare con strana peculiarità; gli ridono prima che lo facciano le labbra. Adora la vita. Apprezza ogni cosa. Sempre in movimento, ha interesse a tutto: musica, letteratura, sport, viaggi. Profondamente sensibile e affettuosa. Un tesoro.
E poi ci sono io. No comment.
Arrivo a Delhi in piena notte: ore 24,30 – 1,00 circa.
Nel grande atrio dell’aeroporto sono applicate alla parete, molto in alto, delle mani gigantesche, dorate. Ciascuna ha la postura delle dita diversa, una dall’altra. Mi chiedo quale sia il loro significato. Lo saprò in seguito. Conosciamo Shailend che chiameremo Shely, il nostro accompagnatore indiano. Statura e corporatura media, carnagione scura, capelli neri corti, occhi intelligenti, sorriso bianchissimo. Parla molto bene l’italiano. Noto un piccolo disco giallo sulla fronte: è il simbolo che gli indiani si applicano dopo aver recitato le loro preghiere. Si chiama “tica”. Squilla il telefono; la mia famiglia si accerta che sia arrivata e che tutto proceda bene. I miei compagni di viaggio ridacchiano divertiti perché faccio festa ad Alessandro, il mio nipotino. Tra il disbrigo delle formalità, il recupero bagagli ed il tempo necessario a raggiungere l’hotel Le Meridien, arrivano le tre. Notiamo in aeroporto una fila interminabile alla postazione del cambio valuta. Non ci facciamo particolarmente caso. Errore. Apprenderemo in seguito che, per disposizioni governative, il cambio della moneta locale (rupia), è strettamente monitorato. Sarà un problema anche per noi turisti; impensabile eseguire il cambio della valuta nelle banche (file incredibili dappertutto). Saremo costretti a cambiare solo in hotel (non sempre è stato possibile) e per importi non superiori a 10 euro ciascuno. Abbiamo quindi pagato, per tutta la durata del viaggio, in euro e usato carte di credito. Appena saliti sul pulmino che ci aspetta ci adornano con collane di fiori. Piccoli garofani arancione, non propriamente profumati. Li abbiamo visti, tali e quali, dovunque. All’arrivo in hotel cocktail di benvenuto anche se era tarda ora. Sposto le lancette dell’orologio “indiano” di ca. 4 ore in avanti e lo sistemo sul polso,accanto a quello che rimane sull’orario Italiano. Subito a dormire ma una musica, forte e persistente, ci ha tenuto svegli, nostro malgrado: si comincia bene! Ma siamo a Delhi! Inizia l’avventura!!!
LA NOSTRA GUIDA.
Prima di continuare spendo due parole per Shely. Si è rivelato, confermando la mia favorevole, iniziale, impressione , una persona straordinaria. Induista, appartiene alla casta dei sacerdoti. E’ sposato, ha un bambino di otto anni e frequenta abitualmente il nostro paese, che conosce piuttosto bene. Ci ha fatto apprezzare – da subito- la cultura della sua terra. Il modo di vivere, la filosofia, gli usi e costumi del proprio Paese .Il cibo. Profumato, speziato, ricchissimo di sapori ed aromi nuovi. Ci ha introdotto nella storia, nell’architettura, nei monumenti via via visitati. Ci ha spiegato, in modo infaticabile, disponibile, partecipativo. Ci ha aiutato a riconsiderare – con occhi e sentimenti del tutto nuovi – gli accadimenti della vita. Del nostro quotidiano. Grazie davvero.
NAMASTE’
E’ la prima parola che impariamo. E’ un saluto. E’ il saluto indiano. Un po’ come il nostro “ciao”? Non proprio. La parola viene contemporaneamente accompagnata da due gesti: le mani giunte, come in preghiera, tenute all’altezza del petto ed un impercettibile inchino del capo. Significa “ riconosco la divinità che è in te”. E’ un saluto bello e significativo. Perché prende atto che ogni essere umano è speciale, anzi, sacro . Namaste’ dunque!
VIAGGIARE, PERCHE’?
Ho preso appunti di ciò che più mi ha colpito giorno per giorno, alla sera, prima di dormire. Penso che ognuno di noi ha scelto questo Paese – tra le tante destinazioni possibili- per motivi diversi, con aspettative diverse, con stato d’animo personale diverso. Quali sono state le vostre considerazioni? Che cosa vi ha “dato” questa esperienza? Soddisfatti della scelta fatta? Viaggiare: curiosità, raffronto, comprensione, condivisione ma anche, talvolta, rifiuto di altrui esperienze. Modi di vivere a volte simili, a volte diversi, a volte lontani da noi . Viaggiare. Assaggiare nuovi sapori: cucina,ingredienti e cotture diverse. Arricchimento della personalità, confronto talvolta faticoso, ma sempre stimolante. Crescita. Dopo un viaggio non siamo più gli stessi. Qualcosa si aggiunge al nostro pensiero. Qualcosa cambia. Non è cosi?
DELHI
20/11/2016: Delhi – Moschea del Venerdì – Bangla Sahib (tempio Sikh) – Raj Ghat ( luogo nel quale fu cremato il Mahatma Gandhi).
Prima tappa a Delhi è la Moschea del venerdì. Imponente costruzione con tre cupole rotonde in marmo bianco. Quella centrale assai più grande delle due a lato. Le mura perimetrali, le molteplici colonne e gli ambienti delimitati da archi sono in arenaria rossa. Struttura molto grande capace di contenere fino a ventimila fedeli. Per entrare occorre toglierci le scarpe: in tutti i luoghi di culto dovremo attenerci a tale usanza . Ci vengono fornite babbucce da indossare. Siamo invitati a conservarle perché saranno da utilizzare ogni qualvolta andremo a visitare altre moschee o templi. All’entrata paghiamo 5 euro per macchina fotografica e/o cellulare. Un guardiano ci “schiaffa” palandrane colorate lunghe fino ai piedi e a manica lunga, da indossare. La moschea domina una parte della città. In basso si svolge un antico mercato di abiti usati ed oggetti di ogni tipo. Caotico colorato e affollatissimo. E’ il “mercato dei ladri”chiamato così perché ogni cosa che vi si trovava, un tempo, proveniva da furti. L’hotel/ristorante Broadway, dove pranzeremo, è stato tutto arredato con oggetti, mobili e suppellettili acquistati in questo mercato. Da non credere!
Dopo la moschea è previsto il giro del centro città con risciò/bicicletta. Saliamo sui mezzi due a due. Ci troviamo catapultati in mezzo ad un traffico caotico con veicoli, furgoncini, motorini che sfrecciano dappertutto. Inesistenti le regole di precedenza: i conducenti si inseriscono sulla strada prepotentemente. Strombazzamento di clacson e campanelli che assordano. Siamo sballottati di qui e di là! Alè! E’ domenica. Molti “negozi” sono chiusi. Impressionanti i cavi elettrici che – come una fitta rete di enormi ragnatele – penzolano sulla ns testa fissati a pali sgangherati e poco stabili. Nelle strette stradine si vende di tutto: abiti, cibo da strada, casalinghi, dolciumi, calzature, materiali edili, monili.ecc. Durante il giro della città, dal pulmino, scorgiamo macellerie, verdure e frutta, spezie tutto esposto per la strada. Mercanzie in mezzo ad uomini e animali. Molte persone vivono in strada. Giacigli sui marciapiedi. Amache per bambini tra un albero e l’altro. A Delhi non vediamo le mucche. Dove sono le vacche sacre? Pazienza, prego. I venditori ambulanti offrono chincaglierie,cartoline, elefantini, sonagli.
Ci arriva un regalo. Inaspettato. Non previsto dal programma perché non sempre è accessibile ai turisti. Oggi sì. Andremo a visitare il Raj Ghat. E’ un luogo sacro. Via le scarpe. Usiamo le babbucce. E’ un parco: un bosco, grandi prati e ampia recinzione di pietra chiara. Al centro del parco una bassa costruzione in marmo nero, al suolo una piccola panca rettangolare il cui cuscino è un tappeto di fiori. Vediamo una piccola colonna rialzata sormontata da una teca di vetro. Cinque minuscole composizioni di fiori freschi, a forma circolare. Sembra un altare. Lo è. E’ il luogo dove è stato cremato il Mahatma Gandhi. Il posto è assolato pieno di visitatori. Donne in sari colorati di brillanti tonalità .Moltissime scolaresche provenienti da tutto il Paese. Tanti ragazzi e bambini abbigliati con la divisa della loro scuola. Ci rendiamo conto che noi siamo per loro un’attrazione. Ci osservano, incuriositi, colpiti dalla nostra pelle chiara. Ci chiedono di poter scattare dei “selfie” con noi da poter mostrare, poi, a scuola, agli amici, alla famiglia. Sono affabili. Sorridenti. Festosi. Tutti i turisti con pelle chiara sono inglesi. Retaggio della dominazione britannica. Ci sono gli inglesi spagnoli, quelli francesi, quelli tedeschi. Noi siamo inglesi italiani. Ovvia! Ci prestiamo volentieri, tutti, alle loro richieste. Gettonatissime Cinzia, Alessandra e Katia. Ritorniamo in città. Scendiamo nella parte nuova di Delhi e fotografiamo gli edifici governativi. Per strada un incantatore di serpenti. Il cobra è fuori dal cesto di vimini, con il capo eretto. Scatto foto per Alessandro.
Nel pomeriggio ci rechiamo al tempio sikh Bangla Sahib. Qui si entra esclusivamente a piedi scalzi e, tutti, con il capo coperto. La costruzione ha una superficie ampia ed è tutta in marmo bianco sormontata da una grande cupola sferica dorata. Più in basso sono state realizzate piccole cupole di forma allungata, anch’esse dorate, che poggiano su colonne di marmo. In basso altra cupola bianca di minore dimensione. Da un grande piazzale, alcuni gradini consentono l’accesso ad un canale/lago pieno d’acqua utilizzato per le abluzioni dei fedeli. All’interno l’altare è decorato in oro, circondato da tappeti. Al soffitto immensi lampadari di Murano. Qui è conservato il Libro Sacro. Sul lato destro dell’altare ci viene indicata una piccola stanza riccamente arredata. C’è un letto a baldacchino sopra il quale viene custodito il Libro Sacro quando non è esposto sull’altare. Per raggiungere il tempio, lungo la strada, abbiamo notato numerosi magazzini pieni di sacchi, di grandi latte di metallo, di scatoloni. Contengono cibo. Cibo che viene cucinato lì, nelle cucine adiacenti al tempio, a totale disposizione di chiunque lo chieda. Tutta la struttura si avvale di numerosissimi volontari che si adoperano, non solo per la pulizia e la conservazione della struttura ,ma per garantire un pasto a chiunque abbia fame. Tutti sono accolti e a tutti viene garantito il cibo. Visitiamo le cucine. Grandissime. Enormi pentole e piastre di cottura. Uomini e donne impegnati a preparare il pane, cuocere riso e legumi. Gli acquisti alimentari sono consentiti dalle offerte dei fedeli. Ad ognuno viene richiesto un intervento commisurato alla propria disponibilità economica. Mediamente circa ventimila persone si presentano ogni giorno al tempio. In periodi particolari si arriva addirittura a centomila. Tutto avviene grazie all’incessante impegno di volontari. Elisabetta e Claudia hanno affiancato le donne intente a spianare la pasta per il pane. Accoccolate vicino a loro si sono impegnate a formare dischi di pasta, da far poi cuocere, con un piccolo mattarello. Gli uomini sikh portano un turbante sotto il quale raccolgono i capelli che non tagliano mai per tutta la loro vita, così come la barba. Indossano lunghe casacche e pantaloni. Al fianco, appeso ad una cintura di cuoio un coltello ricurvo custodito dentro una guaina di metallo.
20/11/2016 Delhi – Birla Temple
L’induismo non è una religione ma un modo di concepire e vivere la vita.
E’ il tempio induista dedicato alla seconda divinità della Trimurti ( la Trinità indiana) quindi a Vishnu. Ha dimensioni notevoli e viene considerato uno splendore architettonico. Le tre torri, quella centrale decisamente più alta mentre le due laterali più piccole, hanno forma affusolata con linee curve molto eleganti. Sono in pietra rossa con finiture gialle. Il giallo e il rosso sono colori dominanti della struttura esterna, ma parte della facciata, gli ambienti interni, ed una magnifica scalinata sono tutti n marmo bianco. Sul portale che consente l’accesso al tempio è posta una piccola campana: chi la suona si propone di richiamare su di sé l’attenzione della divinità. All’interno numerose stanze, un grande giardino con fontana. Sono presenti molteplici sculture, statue,bassorilievi. Una serie pregevole di pitture raffigurala storia della Trimurti . Il tempio è stato inaugurato dal mahatma Gandhi. Può essere visitato da chiunque, non solo dagli induisti. Lo spirito si può reincarnare fino a 330milioni di volte in qualsiasi forma vivente.
Gli Dei della Trinità indiana sono:
1) Brahama. Creatore. Rappresenta la Terra e il Cielo;
2) Vishnu. Conservatore/Osservatore. Rappresenta l’Acqua e il Sole;
3) Shiva.Trasformatore/Distruttore. Rappresenta il Fuoco e la Luna.
Vishnu le reincarnazioni o i mezzi sono elencati di seguito ( me li ha scritti la ns. guida di suo pugno e tali li trascrivo):
1) Pesce
2) Tartaruga
3) Cinghiale
4) Metà Leone e metà Uomo
5) Nano
6) Nano Parshurama ( Uomo con Asta)
7) Rama
8) Krihsna
9) Buddha
10) Kalki – Cavallo Bianco ( avverrà nel futuro)
21/11/2016 Delhi – Mandawa
Al mattino visitiamo il minareto Qutub Minar. E’ il simbolo della capitale indiana. E’ composto da una vasta area sulla quale sono presenti numerosi edifici in arenaria rossa. Alcuni dispongono di colonnati . Le colonne sono una diversa dall’altra con lavorazioni ed intarsi di pregevole fattura. In gran parte si tratta di decorazioni geometriche, tipiche della cultura araba. Si notano tuttavia figure umane i cui volti, però, sono stati cancellati. Svetta in alto una torre in pietra rossa suddivisa in sei segmenti. Ciascuno è diverso dall’altro. E’ posta di fianco alla moschea. Per evitare che l’eventuale crollo della torre potesse danneggiare gli edifici adiacenti, soprattutto la moschea e il palazzo reale, la struttura ha un’inclinazione studiata, appunto, per evitare tale pericolo. Il grande complesso è stato, ma non può più essere, luogo di culto. La dominazione Moghul vi ha consentito sepolture. Di conseguenza il luogo è divenuto impuro. Mantiene in ogni caso un valore storico molto importante ed è rimasto il simbolo della città. La mia macchina fotografica si rompe. Grr! Partiamo per Mandawa. La località dista ca 270 km. Arriveremo a tarda sera all’hotel Castle Mandawa. Ex residenza del Maharaja. Ci assegnano la stanza 219. Con due grandi letti a baldacchino. Alla sera musica di sottofondo: c’è una festa privata. Dormiremo? Bah!
22/11/2016 Mandawa – Jaipur
Al mattino vediamo numerosi “haveli”. Si tratta di abitazioni un tempo costruite ed abitate da famiglie di ricchi commercianti. Facciate in marmo, intarsi e pitture eleganti, raffinate. Interni spaziosi con numerosi vani destinati a zona padronale e al personale di servizio. Mandawa era al centro della viabilità per il commercio di merci e spezie. Perduta la sua importanza, i commercianti si sono via via trasferiti, soprattutto nella capitale. Adesso le case sono abbandonate. Alcune custodite da incaricati , molte in rovina. Abbiamo visto molte stanze ben chiuse da pesanti portoni fermati da lucchetti. Probabilmente custodiscono ancora oggetti e ricordi di valore. Chissà! Ne visitiamo anche i piani alti. Disturbiamo un bambino che, nel terrazzo adiacente di altra costruzione, sta facendo il bagno. Scusaci! Per la strada incrociamo mucche, la cui presenza era svelata da molteplici “ricordi” sparsi per la strada. Era ora! Finalmente le mucche! Tali “ricordi”, prima o poi, li abbiamo calpestati tutti! Eh si! Ancora file interminabili agli sportelli bancari. La Katia acquista dei sandali infradito molto carini, ricamati a mano. Partiamo per Jaipur distante 160 km. Arriveremo intorno alle 13,30 .Hotel Hilton. Ci assegnano la stanza 323.
Dopo pranzo andiamo al tempio delle scimmie . Qualcuno dice che sono molto dispettose e ci esorta a toglierci orecchini e monili. Il sor Alberto ( quello del telefonino,protuberanza della mano) mi prende in giro per la catenella che sorregge i miei occhiali, composta qua e là da lustrini. Sostiene che, per le scimmie, sarà un gran sollazzo. Per le scimmie di sicuro ma per me no davvero. Va beh! Vedremo. Sulle colline che delimitano l’area del tempio viene avvistato un leopardo! Il primo a distinguerlo è Stefano. Che occhio di lince! Anzi di leopardo. Il tempio è una struttura molto grande, purtroppo in rovina. E’ sede di una scuola che formerà i futuri sacerdoti (bramini). Esponenti della prima casta. Il laghetto al centro è artificiale. L’acqua è putrida, maleodorante. Le scimmie sono centinaia, migliaia. Scendono velocissime da una lunga scalinata come un fiume in piena. Siamo su una specie di terrazza . Il guardiano invita Alessandra e Katia a dare ad alcune di loro da mangiare. Le scimmiette si avvicinano, si fanno a toccare, accettano il cibo. Brave! Visitiamo un laboratorio che effettua la lavorazione di pietre dure. Ogni segno zodiacale ha le proprie pietre portafortuna. Le mie sarebbero pietra di luna e zaffiro. Serena acquista un anello composto da quattro verette. Alberto una statuona di pietra. Continuiamo a non poter cambiare gli euro in rupie. Una tragedia!
23/11/2016 Jaipur – Palazzo dei Venti – forte Amber – City Palace – Osservatorio astronomico
Città costruita secondo precise regole Indù. Il centro storico è tutto color rosa/arancio. Il palazzo dei venti ha un’ampia facciata fronte strada, sfaccettata, alta, con forma irregolare e riccamente decorata. Spiccano griglie in pietra: erano destinate alle donne che potevano osservare, dietro di esse, la vita della città senza essere viste.
Andiamo a Forte Amber e lo raggiungeremo percorrendo la salita sul dorso di elefante. Gli animali utilizzati per questo percorso sono circa 280, tutte femmine. Non possono percorrere il tragitto per più di quattro volte al giorno, tanto è faticoso. Sulla strada che ci porta al piazzale, dove attendono gli elefanti, vediamo, in mezzo al fiume che la costeggia, uno splendido palazzo a forma rettangolare, sormontato da cupole sferiche. E’ l’edificio fatto costruire dal maharaja: vi si recava con le favorite di turno. Con dodici mogli e trecento concubine forse necessitava di luogo con sicura privacy. Il palazzo in mezzo al fiume consentiva completo isolamento. Forte Amber era la residenza reale. E’ stato costruito su una collina che domina la valle sottostante. Comprende molteplici edifici parte utilizzati per udienze ed incontri pubblici, perlopiù con affaccio sull’ampio piazzale. Ma le costruzioni destinate alla famiglia reale meravigliano per la ricchezza delle decorazioni. Tutte le superfici sono arricchite di motivi a forma di stella, ovali allungati, cestini di fiori, di fiori, disegni geometrici uno accanto all’altro con continuità .Nessun spazio ne è privo. Predominano il panna e il bianco. L’’uso di specchi e di pietre preziose conferisce una magnificenza che lascia senza parole, che incanta. In estate, grazie all’uso di tende, sono ancora ben visibili gli anelli utilizzati, si cercava di rinfrescare gli ambienti dalla calura. Un palcoscenico consentiva l’esibizione di ballerine ignude o vestite di impalpabili veli. Una delle regine più celebrate è quella che ha accettato di essere la terza moglie di uno degli ultimi maharaja . Era bellissima ed ha scritto libro delle sue memorie.
Jaipur ha tutt’oggi il suo maharaja. Ha solo diciassette anni. Vive e studia a Londra. La sua residenza a Jaipur si chiama City Palace. Oggi è qui. In città. Lo testimoniano le due bandiere che sventolano sopra il palazzo. Sono due quando è presente, una sola quando è assente. La sua storia sembra una favola. Il nonno ha intrattenuto rapporti assai stretti con la Corona Inglese. La diplomazia lo imponeva vista la lunga dominazione del Regno Unito in India. Nella grande sala del trono il pavimento è coperto da un tappeto grandissimo. Al soffitto enormi lampadari di cristallo. Alle pareti sono appese foto e scorrono filmati che documentano la visita di personalità inglesi e il ricevimento di numerose delegazioni. Il palazzo comprende un museo nel quale sono custoditi alcuni abiti del nonno ( che aveva statura e corporatura gigantesche ) oltre ad oggetti, divise ed attrezzi sportivi. All’ingresso del palazzo sono esposte quattro enormi anfore d’argento. Figurano nel Guinness dei primati come i più grandi oggetti mai realizzati in questa lega. Sono stati utilizzati per trasportare a Londra acqua del fiume Gange in occasione di un soggiorno che il sovrano vi ha fatto. Questo per consentirgli di lavarsi con l’acqua sacra anche lontano dalla sua terra. Nel palazzo, oggi, sono in corso preparativi per una festa. Drappi rossi ovunque. Il cortile che ci è consentito visitare ha quattro porte che simboleggiano le stagioni. Una curiosità: I genitori del giovane maharaja erano: l’unica figlia avuta dal nonno, fuggita per amore con il figlio dell’autista di corte. I due sposi hanno vissuto per lungo tempo in esilio ma il loro figlio, ha ereditato comunque il titolo e l’ingente patrimonio della famiglia.
Passiamo alla visita dell’ Osservatorio astronomico. E’ una struttura realizzata intorno al 1600. Ancora oggi viene utilizzata tenuto conto della precisione dei dati che si ottengono dai calcoli astronomici. Per la cultura indiana le coppie che desiderano sposarsi devono tener conto di alcuni impedimenti. Il primo deriva dalla casta di appartenenza. Sono quattro le caste sociali; la prima comprende i sacerdoti, la seconda i militari, la terza i commercianti, la quarta tutte le altre categorie lavorative; i cosiddetti paria o intoccabili. L’altro deriva dalla compatibilità astrale dei fidanzati. Ciascuno ottiene la propria carta del cielo e i sacerdoti “calcolano” i punti di compatibilità tra i due. Il massimo punteggio è di 36 punti. Sotto i 18 il matrimonio è ritenuto sconsigliabile. Chissà: forse la bassa percentuale dei divorzi, in India, è influenzata dal rispetto di tale responso? A mio parere, sì. L’osservatorio vanta la meridiana più grande del mondo. Domani partiremo per Agra percorrendo ca. 240 km. Una brutta notizia: Serena non si sente bene. Speriamo sia cosa passeggera. Facciamo quattro passi in centro. Visitiamo negozio orafo di un amico della nostra guida. Acquisto collana in argento per mia nuora. Agra ci accoglie in un laboratorio artigiano dove sono realizzati tappeti. Colori brillanti, dimensioni anche molto grandi, filati pregiati in lana e in seta.
24/11/2016 Abhaneri/Baswa : Pozzo Palazzo – Agra: Taj Mahal
Al mattino, lungo la strada che ci porterà ad Agra sostiamo al Pozzo Palazzo . Si tratta di una costruzione incredibile realizzata sotto il piano terrestre per motivi di frescura. In pietra grigia è profonda ca. 20 metri ed ha un perimetro rettangolare. La costruzione più vicina al piano terra dispone di un lungo colonnato, che si snoda a forma di U, e che incornicia il palazzo vero e proprio. Le pareti che discendono verso il fondo sono tutte scavate da innumerevoli scale simmetriche a due a due, composte da ca. cinque gradini ciascuna. Le scale terminano su una specie di piccolo corridoio che, a sua volta, dà origine ad ulteriori scale della stessa forma e delle stesse dimensioni. Tutto si ripete – perfettamente allineato – sulle quattro pareti fino a raggiungere il fondo del pozzo. L’effetto visivo della costruzione è spettacolare. Il grande piazzale circostante ha spazi coperti sotto i quali sono stati collocati tantissimi reperti provenienti dagli scavi archeologici vicini. Ciascuna statua e/o bassorilievo che evidenzia figure umane – ce ne sono a centinaia – è stata “sfigurata”. Uno scempio perpetrato da chi non consente la riproduzione di forme viventi e di animali. Adiacente al pozzo palazzo sorge un tempio, tuttora attivo al culto, intitolato al membro eretto del dio Shiva. Il sacerdote mi schiocca sulla testa una palandrana gialla tutta brilluccicosa. Arriviamo ad Agra. Hotel Double Tree for Hilton. La ns. camera è la 2135.
Nel pomeriggio siamo tutti preda di una fortissima emozione. Un pulmino ci porta in prossimità dell’entrata. Facciamo la fila, uomini da una parte donne dall’altra. Visiteremo il Taj Mahal. Una delle sette meraviglie del mondo. E’ chiamato il tempio dell’amore ma anche della poesia delle lacrime. La scelta della città di Agra, dove costruire il complesso marmoreo, fu dettata da motivi di stabilità del terreno. Gli artigiani e tutte le maestranze chiamate a realizzarlo sono stati pagati “a vita”. Si sono impegnati a non lavorare ad altre opere e non sono mai più ritornati a casa loro. Anche un artigiano di Venezia ha avuto la stessa sorte. Per la realizzazione della costruzione ci sono voluti ben 22 anni (dal 1621 al 1653). Prima è stata costruita la moschea adiacente. Un grande portale introduce nei giardini divisi da un lungo e stretto canale pieno d’acqua. Al centro una piattaforma di marmo con due panchine. Il Taj Mahal è di marmo bianco impreziosito da intarsi di pietre preziose. E’ imponente. Magnifico. Sormontato da una grande cupola centrale e da due più piccole, laterali. Sorge su una grande base rettangolare, sempre in marmo bianco, ai cui lati sono stati costruiti quattro minareti, dello stesso materiale, ciascuno è suddiviso in tre segmenti per conferire un’inclinazione che possa evitarne il crollo sul corpo principale. Sopra ogni torre una piccola cupola. E’ delimitato da un colonnato oltre il quale, per entrare, si devono togliere le scarpe.
Il Taj Mahal è una tomba. Un mausoleo. In memoria di una donna. Una delle mogli di un maharaja ricco e potente che aveva addirittura tremila concubine ma che l’amava sopra ogni cosa . Vissuta con lui per 19 anni ne era la favorita e gli aveva dato 14 figli. Morì di parto a 38 anni. Gli chiese due cose: di comportarsi da padre e non da re con i loro figli e di non dimenticarla mai. Si chiamava Mumtaj Mahal .
Il sovrano aveva progettato di costruire per sé un’ identica costruzione , in marmo nero, posta nelle immediate vicinanze. Gli ingenti costi da sostenere, però, avrebbero inevitabilmente rovinato la famiglia pertanto il terzo figlio maschio si ribellò al padre. Per evitare la realizzazione della nuova costruzione fece assassinare i due fratelli più grandi, internò le sorelle e lo imprigionò . Costrinse i suoi familiari a vivere ad Agra in appartamenti realizzati in modo simile al mausoleo, ubicati nella struttura del Forte Rosso. Si racconta che il maharaja osservava da lontano il mausoleo aiutandosi anche con l’uso di uno specchio quando non riuscì più a vedere tanto bene. Morì dopo otto anni dal suo internamento E’ sepolto a fianco della sua regina, a sinistra dall’entrata, la sua tomba è più alta ma non al centro.
In visita a questo luogo, con il marito Carlo D’Inghilterra, Lady Diana Spencer, principessa di Galles fece capire ai presenti di non essere più amata dal marito. Si fece fotografare da sola, alzandosi significativamente dalla panchina sulla quale era seduta. Ci portano in visita ad un laboratorio/negozio dove sono realizzati oggetti in marmo. Al portone ci accoglie un’enorme statua dorata del dio Ganesh, divinità con la testa di elefante e corpo umano. Simboleggia ricchezza. Di pensiero, per la testa di elefante, economica perché ha la pancia ampia, prominente.
25/11/2016 Agra – Forte Rosso – Baby Taj Mahal o tomba di Itmad Ud Daulah – Fatehpur Sikri – uscita serale in città
Al mattino visitiamo il Forte Rosso. Chiamato così perché realizzato principalmente in arenaria di questo colore . Le mura hanno decorazioni di pietra più chiara che conferiscono eleganza. E’ imponente. Vi si accede da un ampio portale che dispone di chiusura in legno, fortificata. E’ circondato da alte mura costruite per scopi difensivi. Il corpo principale, dove vi sono gli edifici residenziali, è tutto rialzato, diviso dalle mura da ampi giardini. Per lungo tempo è stato utilizzato dagli inglesi durante la loro dominazione. Il luogo è stato talmente amato da un esponente diplomatico che ha chiesto ed ottenuto di esservi sepolto. Tra gli edifici residenziali hanno straordinaria magnificenza gli appartamenti fatti costruire per il maharaja imprigionato e le sue due figlie.
Questi edifici, loro destinati, somigliano per il marmo utilizzato e le finiture di gran pregio, al Taj Mahal. In questo luogo il figlio del maharaja incontrò e poi sposò Itmad Ud Daulah. Lei era una fanciulla che portava stoffe ed oggetti da vendere al mercato interno riservato esclusivamente alle donne del palazzo. Il controllo delle persone che potevano entrare per tale scopo era espletato unicamente da esponenti della famiglia reale e loro incaricati. La fanciulla era molto bella e fu notata dal maharaja ( quello che amava particolarmente il vino) che la chiese in sposa. Tra le cose che ottenne dal marito vi è la tomba che prende il suo nome e che destinò ai componenti della propria famiglia. E’ stata costruita assai prima del Taj Mahal ma ne ricorda sorprendentemente l’architettura. Viene chiamata anche Baby Taj Mahal per questo motivo.
Pomeriggio dedicato al complesso architettonico di Fatehpur Sikri : maestose costruzioni edificate per ospitare la corte del maharaja. La capitale da Agra si trasferì qui. Il sovrano desiderava da tempo un figlio maschio che tardava ad arrivare. Un indovino predisse che se la corte si fosse trasferita nel luogo indicato, il desiderio si sarebbe avverato. Qui fu quindi costruita la nuova reggia composta dalla moschea e da tre edifici principali, tutti contornati da ampi colonnati, elevati a più piani e con ampi cortili lastricati che li dividono. Tutto è in pietra rossa con i tetti sormontati da cupole sferiche e di forma allungata di colore bianco. I contorni delle finestre e la divisione tra il piano terra e i piani successivi è delimitata da pietre bianche. Le finestre sono impreziosite da grate in pietra finemente “traforate”. La ricchezza e l’eleganza degli edifici è mirabile. Le colonne all’interno della moschea hanno una lavorazione incentrata nella parte alta composta da singoli elementi scolpiti uno accanto all’altro. L’insieme sembra un “merletto” in pietra che va ad arricchirne la struttura. Gli appartamenti destinati alle mogli del maharaja erano stati realizzati secondo il credo religioso di ciascuna di esse. Nell’edificio a fianco ci sono le “cassaforti” di ciascuna moglie dove venivano riposti e custoditi i loro gioielli. A proposito: il desiderio si avverò. Nacque un maschio. Divenne il maharaja “beone”. Tutto non si può avere. Domani lasceremo Agra con un treno che ci porterà a Gwailor.
La sera, prima di cena, decidiamo di avventurarci in città. Non siamo tutti. Solo un gruppetto: Elisabetta, Stefano, Alberto, Marina , Anna Maria, Katia ed io. Abbiamo infatti notato un negozio che ci sembra interessante. Piuttosto grande, ben illuminato, disposto su due piani. Si trova proprio sulla strada che porta al nostro Hotel. Non troppo vicino ma, impavidi, andiamo lo stesso. Che ci sarà? Piglio la mia torcia ( visto che serve? Occorre per individuare ed evitare i famosi “ricordi” oltre che illuminare la strada. E’ buio pesto). Ci rendiamo subito conto che questa uscita sarà un’esperienza fantastica. La strada è buia ma affollata, il traffico intenso. Numerosi furgoncini/taxi, uno in particolare, ci tallona, insistente. No. No e no. Vogliamo andare a piedi! Grazie! Girato l’angolo la strada si anima intensamente. Ci rendiamo conto che si stanno svolgendo, proprio in strada, cerimoniali di matrimonio. Ne vedremo due. Una moltitudine di persone, abbigliate in modo accurato, scortano e festeggiano i futuri sposi. I due cortei sono separati ma tutti e due gli sposi sono a cavallo. Il primo indossa l’abito indiano: casacca chiara,lunga, abbottonata davanti. Impreziosita da strisce di lustrini applicati per tutta la lunghezza. Pantaloni lunghi. Parte degli invitati forma un corteo davanti a loro. Altri stanno accanto a loro, altri dietro. Cantano, suonano, ballano. Un’esplosione di gioia e voglia di vivere. Il secondo ha un abito occidentale, grigio, stoffa leggermente lucida. Cogliamo il momento in cui scende da cavallo e si accuccia assieme ad una signora (la suocera). Bevono assieme da un piccolo recipiente. Poi lui sale di nuovo sul cavallo. Gli invitati, festosi, ci coinvolgono. Scattano numerose foto con noi. Ci invitano alla cena di nozze, non vogliono farci andar via. Non abbiamo visto le spose. Sappiamo però che il loro abito è un sari rosso – il colore, appunto, delle spose – impreziosito da decorazioni in stoffa finemente ricamata e pietre lucenti. Per la cronaca: abbiamo raggiunto il negozio. Numerosi acquisti di pashmine , sciarpe fantasia e coltello sikh.
26/11/2017 Gwailor – Orchha
Al mattino siamo in stazione. Sul vagone, nei posti accanto a me, ho un padre con la figlia. Tento di conversare. Mi dicono che loro arriveranno fino a Bhopal, l’ultima fermata del treno. Mi ricordo subito della tragedia avvenuta in quella città. Nel 1981, da una fabbrica americana, fuoriuscirono sostanze altamente tossiche. Solo in una notte morirono oltre ottomila persone. Brutta storia. Sul treno passano incaricati che ci offrono o un vassoietto di cibo o una bottiglia d’acqua. Vada per l’acqua. Alla stazione di Gwailor scendiamo. Ci aspetta un pulmino che ci porterà ad Orchha distante ca 115 km.
A Gwailor troviamo una grandiosa fortezza in arenaria chiara. Le mura conservano qua e la decorazioni in maiolica blu. Dappertutto sono state scolpite figure geometriche, di uccelli, di pavoni, di scimmie, di elefanti. Le numerose cupole alternano forme sferiche a forme a punta, anche se lievemente arrotondate. C’è un tempio adiacente che è dedicato alla suocera e alla nuora: non è aperto al culto. Lungo la strada enormi sculture incastonate nelle rocce sembrano rappresentare Buddha, ne hanno l’espressione serena. Ma sono, invece, figure Jainiste . Quest’ultime differiscono dalla rappresentazione di Buddha perché sono nude ed hanno una piccola stella o forellino sul cuore. Tutte le figure umane e di esseri viventi sono state rovinate. Passiamo davanti ad una scuola importante. A suo tempo è stata frequentata dagli inglesi, ora da studenti di famiglie indiane facoltose e di rango. In questo luogo è nato il “sati” . Usanza che imponeva alla vedova di farsi bruciare viva sulla pira dove veniva cremato il marito. Per fortuna oggi non viene più praticato sebbene l’ultimo caso risalga agli anni ’60. Verso sera giungiamo ad Orchha. Hotel Amar Mahal. Sembra una moschea. Più probabile sia stato residenza di qualche maharaja. Le stanze danno tutte su un giardino . Le porte si chiudono usando uno strano lucchetto. La camera per noi è la 112.
27/11/2016 Orchha – Khaujuraho
Orchha è una città vitale. Anche di sera. Lungo la strada principale e adiacente al tempio vi è un mercato frequentatissimo. C’è di tutto: cibo, suppellettili per la casa, souvenir, abbigliamento, calzature. Pure un banco di giocattoli. Esposto vedo un serpente cobra di legno, snodato. Alessandro mi ha chiesto un serpente. Forse spera che gli porti un animale vero. Lo compro. Una volta giunta a casa mi dirà con aria contrita: “ come sono brutti i giocattoli dei bambini indiani, nonna!”.Ecco fatto! Al mattino abbiamo in programma la visita ai resti di una splendida costruzione. Durante il percorso, su una collina lungo la strada, ci viene segnalato un castello con le torri. E’ stato edificato ed usato unicamente per il comfort del maharaja quando transitava da questo luogo. Praticamente un area di servizio! Giungiamo al castello di Orchha. Complesso molto grande, con ampi piazzali, elevato a due piani, decorato da cupole. E’ un esempio della fusione tra le culture indiana ed islamica. (sincretismo). Per la sua costruzione furono impiegati 22 anni. Fu donato al re ed è stato utilizzato una sola volta, perché il re morì subito dopo il suo soggiorno, nel corso di una guerra locale. Al pomeriggio prendiamo la strada per Khajuraho. 170 km.ca. Arriviamo a sera hotel Radisson Jass.
28/11/2017 Khajuraho – Varanasi
Al mattino visitiamo i templi di Khajuraho, detti templi occidentali. Sono conosciuti soprattutto per la presenza di migliaia di sculture che raffigurano scene erotiche: il complesso è noto quindi per le figure del Kamasutra. I templi si sono miracolosamente salvati da una sicura distruzione. Qualora fossero stati, infatti, “trovati” dalle etnie Moghul sarebbero state quantomeno sfigurate le figure umane e di animali. Furono abbandonati e non ne conosciamo i motivi.La foresta, lentamente, riprese i propri, originari spazi, nascondendo così le costruzioni per molto tempo. La loro scoperta avvenne per caso, durante una battuta di caccia organizzata dagli inglesi. Si tratta di molteplici edifici , decisamente alti, con una struttura vagamente conica che termina a punta. Le pareti perimetrali sono formate da colonne di pietra tondeggianti una adiacente all’altra. Ogni colonna è fittamente intarsiata da sculture ben definite che rappresentano innumerevoli e circostanziati amplessi non solo tra l’universo maschile e quello femminile ma anche animale. Le sculture sono molto esplicite. L’arguta guida, in un italiano quasi perfetto,aiutata da un impertinente specchietto ci indicava quelle più interessanti. Più volte ha suscitato un’ilarità contagiosa. Compito principale della donna è suscitare il desiderio dell’uomo. Assumono quindi particolare importanza le posture e gli atteggiamenti del corpo. Ricordo la modalità – rappresentata dalle sculture – di pettinare i lunghi capelli femminili. Il pettine viene utilizzato tenendo il braccio sollevato sulla testa ed iniziando a districare i capelli dal lato opposto al braccio. Ci è stato assicurato che questa movenza illeggiadrisce il corpo femminile: i seni si sollevano, il ventre appare morbido e teso, la figura sensuale. E qui, signori, mi fermo. Ognuno ricordi ciò che l’ha colpito di più ( come ad esempio le borsette di “Gucci” e “Prada”!). Ahimè! ‘sto pezzo mi impensieriva assai. Finito. Alè!
Più tardi visitiamo i templi jainisti, detti templi orientali. Ci accolgono molteplici costruzioni, qualcuna dipinta con vernice “moderna”color avorio/giallo. Ci chiediamo il perché e ci viene riferito che la tinteggiatura ha tentato di sanare danneggiamenti causati da inadeguato restauro. La religione jainista proibisce l’uccisione di qualsiasi animale, insetti e microbi compresi. Per questo sono indossate mascherine sul volto e non si mangiano aglio, cipolle e tutto ciò che cresce sottoterra. I religiosi non usano, generalmente, abiti e percorrono le strade soltanto a piedi. Questa religione, per i limiti che impone, è circoscritta alla sola India. Pranziamo in hotel. Verso le quattordici trasferimento in aeroporto e partenza per Varanasi.
Giungiamo nel pomeriggio e andiamo subito all’hotel Ramada Plaza. Ci assegnano la stanza n. 1012. Al tramonto alcuni risciò/bicicletta ci porteranno, due a due, in prossimità della riva del Gange, Se Delhy ci era sembrata caotica non so descrivere che cosa sia Varanasi, tra l’altro una delle città più inquinate del mondo. Ma anche una tra le più mistiche. Shely ci racconta che gli inglesi chiamavano la città, il cui nome significa “luogo del fiume Asi”, Benares perché non riuscivano a pronunciarne correttamente il nome. Varanasi è il luogo di riferimento per tutta la popolazione indiana. Luogo sacro per la presenza dei sette km di ghat (gradoni di pietra) che si snodano sulla riva del Gange. E’ un privilegio viverci ma soprattutto morirvi. Chi muore in questo luogo, qui sarà cremato e le sue ceneri disperse nel fiume. Questo consente immediato raggiungimento del Nirvana, evitando allo spirito la reincarnazione che può protrarsi in qualsiasi forma vivente fino a 330milioni di volte. Spesso i malati prossimi alla fine sono portati negli ospedali della città e chi ne ha la possibilità trasporta qui la salma del defunto per la cremazione. In strada, in mezzo al traffico, più volte abbiamo visto lettighe di legno sul tetto di automezzi. Sopra le lettighe, avvolta in drappi di stoffa arancione, la persona defunta veniva condotta ai forni crematori. Questi sono all’aperto, funzionano 24 ore su 24 ogni giorno dell’anno. Viene utilizzato legno di sandalo che evita gli odori. Prima di appiccare il fuoco alla pira la salma viene immersa con la sua lettiga nelle acque del fiume per l’ultima purificazione. Nessun monile, nessun oggetto prezioso viene tolto al defunto. I luoghi destinati alla cremazione sono due. Viene preferito quello posto più a sud ma, se il feretro transita prima a quello più piccolo, lì deve aver luogo la cerimonia. La cremazione non viene eseguita se la morte ghermisce una donna in gravidanza o un bambino. Il loro corpo è gettato integro nel fiume ma con opportuni pesi per evitarne il galleggiamento.
A pomeriggio inoltrato il pulmino ci porta fin dove è consentito perché non si entra in città dopo le nove del mattino con automezzi. Il divieto si protrae fino alla sera. Ci muoveremo con i risciò/bicicletta. L’aria è pesante, irrespirabile. Ci mettiamo alla bocca foulard o fazzoletti. Intorno a noi un carosello multicolore composto da uomini, donne, veicoli,animali. Il rumore è assordante. Ai lati della strada pentole che sobbollono, ciambelle e biscotti in mostra, verdure su carrettini piccolissimi, frutta esposta sopra cenci stesi per terra o in ceste. Banchi di chincaglierie, negozi di abiti, elettrodomestici, pentole, pelletterie e altre mercanzie. Le vacche si aggirano placide in tutta questa confusione. Nessuno le molesta. Meglio non guardare per terra. Tra la spazzatura abbandonata e i numerosi “ricordi” forse, invece, è opportuno fare attenzione.
Percorriamo la strada per raggiungere a piedi la riva del Gange, strada animatissima. Non solo affollata di gente ma con numerosissimi banchetti ai lati ricolmi di prodotti di ogni genere moltissimi di cibo. I gradoni sono in discesa. Ci aspetta una barca. Una ragazzina ha tra le braccia una cesta più grande di lei. Ci viene incontro sorridendo. Ad ognuno di noi consegna un minuscolo panierino di carta. Dentro ci sono piccoli fiori disposti a cerchio e,nel centro, vedo una piccola candela, un lumino. Saliamo . Ai remi due ragazzi: lentamente la barca si stacca dall’approdo e costeggiala riva. Si è fatto buio. Poco più avanti il fuoco delle pire illumina l’area del forno crematorio. Ne contiamo otto. Vediamo una lettiga con il suo triste carico che attende il proprio “turno”. La pira sarà accesa tra poco. Osserviamo in silenzio, trattenendo il respiro. Il luogo merita rispetto. In alto i familiari attendono che il rito sia compiuto. Shely ci invita ad accendere i lumini che affidiamo alle acque del Gange. Ognuno di noi, silenziosamente, recita una personale preghiera. Ci avvediamo che il fiume è pieno di imbarcazioni e che, inaspettatamente, nell’acqua galleggiano una moltitudine di fiammelle. Dolcemente le vediamo scivolare via. Assistiamo alle preghiere della sera, recitate da numerosi sacerdoti e sottolineate da musica e canti. Lo spazio dedicato alle cerimonie è illuminato da strutture alte a forma di ombrello, ciascuna con lampadine di diverso colore: rosso, giallo, verde, bianco. L’esperienza è indimenticabile, suggestiva. Emozioni intense. Rientriamo in albergo. L’indomani, all’alba, ritorneremo sui ghat.
29/11/2016 – Varanasi
Alle prime luci del giorno siamo in strada. Sebbene sia prestissimo una folla si sta già dirigendo sulla riva del fiume. La prima celebrazione del mattino, infatti, è considerata la più significativa della giornata. Saliamo nuovamente su una barca e percorriamo lentamente la riva osservando ciò che accade sui gradoni e sul fiume. Malgrado l’elevato grado di inquinamento e la bassa temperatura gli uomini si tolgono i vestiti e scendono nell’acqua. Li vediamo lavarsi e bere. Le donne si dedicano ad accurate abluzioni. Più avanti i lavandai, immersi nel fiume fino alla cintura, fanno il bucato. I panni sono energicamente sbattuti su grandi pietre che affiorano dall’acqua. Sugli edifici che si affacciano sui gradoni vediamo numerose scimmiette. Ci affianca un negozio-barca. Acquisto una piccola anfora di metallo: mi chiedono se gradisco venga riempita con l’acqua sacra. Sì. Ogni volta che la guardo mi “dice” di non farmi sopraffare dai problemi quotidiani. Di affrontarli con meno ansia.
Abbiamo la visita all’università. E’ una struttura enorme che conta ben trentamila iscritti di cui sedicimila alloggiati all’interno del campus. I viali alberati che conducono agli edifici delle varie facoltà sono molto animati. In un grande piazzale alcuni ragazzi fanno lezione di yoga. C’è foschia e non distinguiamo bene la grande costruzione bianca , il tempio dell’università. Peccato. Al ritorno visitiamo quello della dea Kalì. Ci togliamo le scarpe. E’ situato sulla strada. Sul piazzale ci sono venditori di fiori. Dopo tutte le emozioni non mi sembra particolarmente interessante.
Ci aspetta la manifattura delle preziose stoffe che sono realizzate qui. Ciascuna ragazza indiana sogna di poter cucire sul proprio sari nuziale almeno un piccolo bordo o decorazione realizzata a Varanasi. Un intero abito sarebbe costosissimo. La tessitura è eseguita con filati pregiati, anche in argento e oro, e la realizzazione di alcuni lavori con l’utilizzo di nove colori richiede necessariamente l’impiego di due persone. In un giorno non si possono tessere più di due centimetri di stoffa del disegno da eseguire. Rientriamo in hotel.
Siamo un po’ in fermento. E le essenze? L’erboristeria? Sconfortate chiediamo a Shely. Estremamente disponibile lui fa arrivare tre riscio’ e ci accompagna nel centro della città alla conquista delle essenze.
L’uscita si rivela memorabile. Ci addentriamo nel cuore della città, in vicoli stretti e affollatissimi. Ci mescoliamo alla gente osservandone i movimenti. I negozi sono piccoli. Si avverte una vitalità straordinaria. Troviamo il negozio. Acquistiamo le essenze. Le più gettonate sono state il lemon gras e la rosa. Torniamo indietro felici e ringraziamo Shely per la disponibilità.
Dopo pranzo ci rechiamo a Sarnat. E’ il luogo dove Buddha tenne il suo primo sermone. All’ingresso un incantatore di serpenti fa esibire una scimmietta ammaestrata vestita come una ballerina. I grandi giardini mostrano alcuni ruderi. Due costruzioni tozze in pietra rossa hanno una forma rotonda che si restringe in alto. Non presentano spazi all’interno. Sono totalmente piene di materiale. Si chiamano “stuffe”. I viali sono percorsi da numerose comitive di pellegrini. Questo è il centro della religione buddista. Più avanti visitiamo il museo dove sono conservate statue, bassorilievi e figure scolpite. Tutte le opere sono in pietra grigia. Qui è esposta una delle più belle statue del mondo che raffigura Buddha. L’espressione è serena, sorridente. Le postura delle mani, a seconda della preghiera, può assumere 84 forme diverse……ecco il significato delle gigantesche mani dorate che campeggiano, in alto, sulla parete dell’atrio, nell’aeroporto di Delhi! Rientriamo in hotel. A cena, un po’ appartata ma comunque abbastanza vicino al nostro tavolo, una giovane coppia festeggia. Una richiesta di matrimonio? Si. Gli regaliamo un applauso e la coppia, semplicemente, fa servire a ciascuno di noi una fetta della loro torta. Un ragazzo alto, bruno, carino, simpaticissimo – cameriere del ristorante – si conquista la nostra simpatia. Qualcuno del nostro gruppo ci scatta una foto assieme a lui. Mi piacerebbe tanto averla. Chi ce l’ha? Domani lasceremo questo luogo indimenticabile.
30/11/2016 Varanasi – Delhi
La preparazione dei bagagli ci mette tutti in agitazione perché il peso delle valigie non può superare i 13/15kg e quello del bagaglio a mano gli 8kg. Con un po’ di pazienza e di manovre cerchiamo di arrangiarci. Nella fretta non ho tolto dal mio zaino il coltellino sikh che era con gli altri regalini e così all’aeroporto mi è stato requisito. Shely l’ha recuperato, l’ha fatto inserire nel bagaglio di un’altra guida. A Delhi ho riavuto il mio coltellino. La nostra guida ci ha fatto constatare che, dopo Varanasi, Delhi non è poi così caotica come ci è sembrato all’arrivo. Vero? Per raggiungere l’hotel che ci avrebbe ospitato fino alle 22 abbiamo attraversato la città nuova. Ampie strade, edifici di nuova costruzione, traffico contenuto. Ci è stato consegnato un questionario da compilare per far conoscere il nostro parere sul viaggio e la qualità dei servizi. Al Vasant Continental abbiamo salutato Shely. E abbiamo così realizzato che la nostra avventura era terminata. Viaggeremo tutta la notte: Delhi/Zurigo. Zurigo/Firenze. Intorno alle nove arriveremo all’aeroporto italiano. E’ il mattino del 1/12/2016.
Ci rivedremo. Alla cena che sarà organizzata proprio per questo. E, speriamo anche in altre occasioni. Ne sarò felice. Un abbraccio a SERENA. ALESSANDRA. ANNA MARIA. MARINA. CINZIA. ALBERTO. RACHELE . STEFANO. ELISABETTA. MORENA. CLAUDIA. E KATIA. Con augurio di future avventure da vivere insieme a VOI e a me che sono la Grazia.